Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

giovedì 14 maggio 2015

Christoph Schellberg
Linn Lühn Galerie, Düsseldorf
14.03 - 16.05.2015

(für die deutsche Fassung nach unten scrollen)

La personale di Christoph Schellberg riserva al visitatore due piacevoli illusioni.

La prima riguarda l’installazione e il criterio formale cui è ispirata che sembra prospettare una narrazione basata su un preciso ordine, mentre si è di fronte a una sequenza “casuale” di disegni abbastanza simili seppur privi di una relazione narrativa o logica tra loro, ordinati solamente secondo un parametro oggettivo, cioè la gradazione cromatica.


Cristoph Schellberg
view of the installation at Linn Lühn Galerie, Düsseldorf

Tale sequenza cromatica è a sua volta basata sul caso, perché il colore del singolo sfondo è ottenuto con un procedimento di “ammollo” di cui è sostanzialmente imprevedibile il risultato. Tra le centinaia di fogli “creati” e colorati in maniera metodica dall’artista con la tecnica del batik, ne sono stati scelti 50 e sono stati allineati ordinatamente in un’unica fila. Risulta una serie compiuta, uno spettro, con un inizio, uno svolgimento riconoscibile e una fine, in cui la mancanza di un singolo disegno mutilerebbe l’armonia complessiva. Vediamo un ordine geometrico fondato da un lato su una catena di casualità e dall’altro su una reiterazione quasi “tassonomica”, tipica delle collezioni botaniche o entomologiche.

La seconda illusione riguarda il contenuto, il messaggio delle opere. L’illusione consiste nel far vedere allo spettatore dei significati dove ci sono solo significanti, senso dove c’è solo segno. Questo è possibile perché le opere creano una dissonanza cognitiva attraverso la predisposizione di piccole trappole ottiche, di natura geometrica e prospettica. L’artista sembra lavorare sul concetto di soglia percettiva, il cui esempio più tipico è quello della lingua: anche quando una parola è incompleta o scritta erroneamente, basta una quantità sufficiente di lettere per riconoscere quella parola. Qui ciò avviene soprattutto per mezzo di segni scuri dissonanti in funzione di “ombre”, che però a volte non rispettano le regole della teoria delle ombre, oppure attraverso forme allusive (cerchi e linee che sembrano occhiali, ovali che ricordano uova e triangoli come piramidi ecc.). Il nostro cervello individua, incasella e classifica sempre le immagini e tende a ricondurle a figure note. Qui l’artista sfrutta con ironia la coazione figurativa dello spettatore medio. Solo lo sforzo analitico e la distanza critica riescono a non vedere significati dove ci sono solo segni.

Queste opere sono state prodotte in un periodo di transizione in cui l’artista è passato da un’arte chiaramente figurativa a una ricerca maggiormente astratta. Ha scelto il disegno su carta, ossia un medium particolarmente precario, spesso considerato secondario, preparatorio, che però ha il grande vantaggio di essere più leggero e più veloce di altre tecniche, consentendogli una produzione febbrile di scala quasi industriale.

Così facendo Schellberg marca una profonda distanza dalla sua ricerca precedente incentrata sul ritratto realistico, come a voler desacralizzare l’opera d’arte, non più frutto di una lenta operosità e di una non comune abilità creativa, ma semplice risultato di una operazione basata sulla ripetizione di una sequenza di passaggi prestabiliti.

Infine, nell’esclusione programmata dall’atto creativo di qualsivoglia retaggio emotivo o narrativo, ci sembra di intravedere una vicinanza con le teorizzazioni e gli esiti del movimento artistico italiano MAC (Movimento Arte Concreta) o “concretismo”, sorto a Milano nel 1948 e sviluppatosi fino agli anni Settanta. Forse a ciò si deve quel lieve senso di anacronismo che sentiamo aleggiare su questi lavori.

Al di là dell’eleganza dell’installazione e della raffinatezza del disegno, ci chiediamo, in conclusione, se il ricorso a tecniche illusionistiche sia davvero indispensabile per riflettere sul rapporto tra figurazione e astrattismo. 

*** Articolo pubblicato in trylon.de - 7 maggio 2015 ***


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Dem Besucher bereitet die Einzelausstellung von Christoph Schellberg zwei Illusionen.

Die erste Illusion betrifft die formale Struktur der Installation, die den Eindruck einer genauen Ordnung erweckt. Dabei steht der Betrachter vor einer “zufälligen” Reihenfolge von Zeichnungen, welche keine inhaltliche bzw. erzählerische Beziehung miteinander unterhalten – und dies, obwohl sie tiefe Ähnlichkeiten aufweisen. Diese Zeichnungen sind ausschließlich nach einem objektiven Maßstab geordnet, d.h. nach ihrer Farbabstufung.

Auf dem Zufall beruht dieser farbliche Verlauf deswegen, weil die Farbe des jeweiligen Hintergrundes mit Hilfe von einem Verfahren – dem Farbbad – hergestellt wurde, dessen Ergebnis wesentlich unberechenbar ist. Unter den zahlreichen Blättern, die der Künstler mit der Batiktechnik und durch eine systematische Methodik produziert hat, sind 50 davon ausgewählt und ordentlich aufgereiht worden. Daraus ergibt sich ein vollkommenes, durch einen Anfang, einen erkennbaren Verlauf und ein Ende charakterisiertes Farbspektrum, bei dem das Ausbleiben einer einzelnen Zeichnung die gesamte Harmonie zerstören würde. Die Ordnung der Bilder wurde also einerseits von einer Kette von Zufälligkeiten und anderseits von einem quasi taxonomischen Arrangement bestimmt, wie man ihn normalerweise in botanischen und entomologischen Sammlungen findet.

Die zweite Illusion betrifft den Inhalt, die „Botschaft“ dieser Werke. Die Illusion besteht darin, dass das Publikum Signifikate wahrnimmt, wo man bloß Signifikante vorfindet. Das ist allein möglich, weil die Bilder eine kognitive Dissonanz schaffen, die uns kleine Wahrnehmungsfallen perspektivischer Natur bereiten. Gern scheint der Künstler mit dem psychophysischen Begriff von Wahrnehmungsschwelle zu spielen, dessen typischstes Beispiel von der Sprache geboten wird: obwohl ein Wort unvollständig bzw. irrtümlich geschrieben wird, kann man trotzdem das ganze Wort erkennen, wenn es nur eine ausreichende Zahl von Buchstaben vorhanden ist. Dies tritt bei Schellberg entweder durch dunkle dissonante Zeichen, die als “Schatten” wirken und dabei die Regeln der Schattenlehre nicht immer respektieren, oder durch Formen und Körper – Kreise bzw. Linien, die eine Brille evozieren, Ovale, die an Eier denken lassen, Dreiecke an Pyramiden, usw. Indem sie auf bekannte Gestalten zurückgeführt werden, werden die Bilder von unseren Gehirnen erörtert, eingeordnet und klassifiziert. Hier nutzt der Künstler den Figurationszwang des durchschnittlichen Rezipienten ironisch aus. Allein dank analytischer Bemühung und kunstkritischer Distanz gelingt es, keinen Signifikanten wahrzunehmen, wo man bloß Zeichen vorfindet.

Diese Werke scheinen in einer Lebenszeit des Künstlers entstanden zu sein, die ein Übergangsstadium seiner Recherche darstellen, als er sich von einer explizit figurativen zu einer abstrakteren Ausdrucksweise entwickelte. Hier hat Schellberg das Zeichnen auf Papier gewählt – bestimmt nicht nur wegen der begrifflichen Verwandtschaft zwischen Zeichen und Zeichnen –, also ein besonders prekäres Medium, das oft als untergeordnet gehalten wird, allerdings den großen Vorteil hat, dass es leichter und schneller als andere Techniken ist und eine hektische, fast großmaßstäbliche Produktion von Werken ermöglicht.

Dadurch distanziert er sich von seiner vorigen Arbeit, in der das realistische Bildnis im Mittelpunkt stand. Jetzt scheint er das Kunstwerk entweihen zu wollen. Das Bild ist nicht mehr das Resultat langsamen Arbeitseifers und ungewöhnlichen Schaffensvermögens, sondern “bloße” Wiederholung einer vorbestimmten Handlung.

Indem Schellberg jede Emotionalität und Erzählung von seinen Arbeiten ausschließt, kommt seine Position, so scheint es uns, den Theoriebildungen und Ergebnissen der italienischen, 1948 in Mailand entstandenen und bis in die 70er sich entwickelten Kunstbewegung MAC (Movimento Arte Concreta) bzw. “Konkretismus”, nahe. Daraus stammt vielleicht der leichte Anachronismus, den wir in diesen Werken spüren.

Trotz der deutlichen Eleganz dieser Installation und der unzweifelhaften Feinheit dieser Zeichnungen, möchten wir uns abschließend fragen, ob der Rückgriff auf illusionistische Mittel notwendig ist, um über das Verhältnis zwischen Figuration und Abstraktion zu reflektieren.

(Aus dem Italienischen von S. Franchini) 

*** Artikel veröffentlicht in trylon.de - 7. Mai 2015 ***